ITABIA

 

 

 

TECNOLOGIE

3.1  Produzione di energia elettrica

Si considerano le  filiere per la produzione di energia elettrica da:

  • biocombustibili solidi
  • biocombustibili liquidi

 

A) I biocombustibili solidi

 

Tipologia di impianto

Un impianto di produzione di energia elettrica da biocombustibili solidi si compone dei due seguenti principali componenti:

  • Caldaia per la produzione di vapore
  • Turbina  abbinata ad alternatore.

Altri elementi che compongono l’impianto sono:

  • Area di stoccaggio della biomassa
  • Sistema di caricamento automatico in camera di combustione
  • Sistema di combustione a griglia mobile o a letto fluido
  • Pre-riscaldo aria di combustione
  • Sistema di trattamento fumi
  • Sistema di estrazione e trasporto ceneri
  • Impianto di trattamento acque
  • Sistema di controllo centralizzato
  • Caldaia ausiliaria a gas per acqua calda, per picchi di domanda e back up

La  produzione di vapore avviene attraverso due principali processi di conversione:

  • Grandi impianti (> 5MWel) : Caldaia a ciclo vapore (ove il fluido vettore è acquA,  che va direttamente in turbina)
  • piccoli e medi impianti (<5 mwel) : Caldaia a olio diatermico (ove il fluido vettore è olio diatermico ad alta temperatura che va a vaporizzare il fluido organico-ciclo  orc- destinato alla turbina)

Ciclo vapore ACQUEO
Questo processo è stato ed è impiegato in tutte le grandi centrali italiane ed europee (da 3 MWel fino a 40 MWel), dove quasi mai è prevista la contemporanea applicazione della cogenerazione, per la mancanza di utenze termiche tali da impiegare e valorizzare le notevoli quantità di calore che residuano dal processo di produzione elettrica.

 

Il processo
La tecnologia oggi maggiormente impiegata nei generatori di vapore acqueo (caldaie)  e’ la griglia mobile, che presenta una maggiore affidabilità d’esercizio rispetto alla caldaia a letto fluido, che, invece,  presenta maggiori vantaggi nell’efficienza di combustione e nella garanzia di rispettare i limiti di emissione (nox, co).
Tenendo conto che il combustibile non è mai completamente omogeneo, devono essere scelte soluzioni di processo equilibrate (es. 450 °C e 50 bar), che consentano l’esercizio dell’impianto anche per 8000 ore/anno, con possibilità di utilizzare in parte biomasse inizialmente non previste (es. sanse di oliva, farine di vinaccioli, lolla di riso,etc.) senza rischi eccessivi per le superfici di scambio. Scelte più spinte (es. 520 °C e 90 bar) comportano rendimenti più elevati ma anche rischi notevoli di fermate per corrosioni e sporcamenti eccessivi.
La linea fumi
La tecnologia consente ormai di raggiungere in modo relativamente facile i limiti di emissione imposti dalle normative ed autorizzazioni. Gli attuali limiti per le biomasse si possono ottenere con sistemi completamente a secco (più semplici e facili da gestire dal personale di Centrale). Per le linee fumi le criticità sono il rispetto dei limiti di emissione del CO (50 mg/Nm3) e scendere sotto i 100 mg/Nm3 per gli NOx (servono sistemi catalitici, difficili da operare con efficienza).
Le ceneri
La scelta del sistema di estrazione e stoccaggio ceneri  (a secco/umido, quali correnti conglobare, etc.) va fatta in base al combustibile utilizzato ed alle possibilità di smaltimento (es. cementifici, conglomerati cementizi, recuperi ambientali, produzione di fertilizzanti, etc.) che si possono avere nel comprensorio servito dall’impianto. Scelte iniziali errate o incomplete comportano notevoli difficoltà gestionali  e spesso rendono necessarie modifiche e integrazioni impiantistiche.
Ciclo ORC
Per impianti di produzione di energia elettrica di minori dimensioni la soluzione tecnica oggi piu’ impiegata  è quella costituita da un  generatore di calore ad olio diatermico .
Il sistema di combustione è di tipo a griglia mobile, capace di garantire sempre una combustione uniforme anche in caso di variazioni delle caratteristiche della biomassa in ingresso e, unitamente all’ampiezza della camera di combustione e all’idonea distribuzione delle arie comburenti, il contenimento delle emissioni di CO e NOx nei limiti delle leggi vigenti . 
Il sistema di generazione basato sulla caldaia ad olio diatermico e sul turbogeneratore ORC ha dimostrato di essere una soluzione affidabile, efficiente ed economicamente interessante per i sistemi decentrati nella gamma di potenza tra 200 kwel e 2.000 kwel .
Processo ORC
Il turbogeneratore sfrutta l'olio diatermico caldo per preriscaldare e vaporizzare un opportuno fluido di lavoro nell'evaporatore.
Il vapore dei fluido organico muove la turbina, che è accoppiata direttamente al generatore elettrico attraverso un giunto elastico.Il vapore scaricato dalla turbina scorre attraverso il rigeneratore, dove riscalda il fluido organico in ingresso ciclo. Il vapore è poi condensato nel condensatore (raffreddato dal passaggio dell'acqua). Il fluido organico è poi pompato al rigeneratore e di seguito all'evaporatore, completando così la sequenza di operazioni nel circuito chiuso.
Una società italiana ha sviluppato una gamma standard di turbogeneratori usando come fluido di lavoro un olio siliconico, con le seguenti caratteristiche favorevoli:

  • Proprietà termodinamiche favorevoli, che permettono un ciclo ad alta efficienza (immissione di calore ad alta temperatura grazie alla rigenerazione, espansione in assenza di liquido, salto entalpico favorevole in turbina)
  • Rispetto dell'ambiente e attenzione per la tossicità, con un fattore di danneggiamento della fascia di ozono nullo.

 

In confronto alle tecnologie alternative, i vantaggi principali ottenuti con questa soluzione sono i seguenti:

  • Alta efficienza del ciclo (specialmente se usato in impianti di cogenerazione);

 

  • Elevatissima efficienza della turbina (fino all'85%);
  • Bassa sollecitazione meccanica della turbina, dovuta alla modesta velocità periferica;

 

  • Bassa velocità di rotazione della turbina, tale da consentire il collegamento diretto dei generatore elettrico alla turbina senza interposizione di riduttore di giri;
  • Mancanza di erosione delle palette nella turbina, dovuta all'assenza di umidità negli ugelli;

 

  • Lunga vita della macchina, dovuta alle caratteristiche dei fluido di lavoro che, diversamente dal vapore, non erode e non corrode le tubazioni, le sedi delle valvole e le palette della turbina;
  • Mancanza di sistemi per il trattamento dell'acqua.

 

Ci sono anche altri vantaggi, quali la semplicità nelle procedure di avviamento e fermata, il funzionamento non rumoroso, la minima richiesta di manutenzione, le buone prestazioni anche a carico parziale.

Il Centro di Stoccaggio

Il Centro di stoccaggio è un elemento fondamentale per garantire l’alimentazione e l’autonomia della caldaia in caso di disfunzioni nei trasporti e nei conferimenti della biomassa dai vari bacini di raccolta alla centrale.

Normalmente è costituito da un vasto piazzale impermeabilizzato, con una parte pavimentata e coperta da una tettoia per proteggere la biomassa prima della sua alimentazione alla caldaia. Dovrà essere recintato e predisposto con adeguati mezzi antincendio. Deve essere in genere dotato di un piccolo ufficio con pesa esterna.

Il Centro dovrà essere localizzato in una posizione ottimale rispetto sia alla logistica dei conferimenti della biomassa sia al sistema di alimentazione della caldaia. In genere è necessario prevedere un’area fuori dai centri abitati, attrezzata con un sistema basato su containers scarrabili per il combustibile cippato, che saranno caricati nel Centro di stoccaggio e posizionati poi in Centrale (vuoto per pieno), prossimi al silo finale ed alla coclea di alimentazione della caldaia. Ciascun container scarrabile è dotato di un sistema di avanzamento della biomassa cippata, in modo che lo scarico nel silo di Centrale avvenga gradualmente e senza emissione di polveri e rumori.

E’ in genere necessario garantire una sufficiente autonomia alla caldaia (90 giorni) , da cui consegue il dimensionamento dell’area da adibire a stoccaggio, valutando che i cumuli di biomassa combustibile non devono superare i 3 metri d’altezza, disposti in modo tale da consentire una facile movimentazione ed una sicura predisposizione antincendio..

Una parte della stessa area sarà coperta da una tettoia, per permettere una migliore essiccazione naturale della biomassa immagazzinata. La tettoia, progettata a carichi di vento e di neve, deve essere dimensionata per conservare al coperto il combustibile per un periodo di 3 settimane prima della sua alimentazione in caldaia

  • Biocombustibili liquidi

 

Tipologia di impianto

Un impianto di produzione di energia elettrica a biocombustibili liquidi (oli vegetali) si compone dei due seguenti principali componenti:

  • Motore a combustione interna (ciclo diesel)
  • Alternatore.

 

Gli impianti possono variare dimensionalmente in un range molto vasto (dalla piccolissima taglia (50 kWel) alla grande taglia (10 MWel) e comunque secondo la potenza dei motori diesel disponibili sul mercato.
La filiera è di grande interesse ed i suoi elementi principali  sono:

    • le attività produttive sia di campo che di centro aziendale;
    • la vicinanza della rete elettrica e la presenza di utenze dal fabbisogno significativo e diversificato di energia elettrica, suscettibile di interventi atti a migliorare l'indice di autosufficienza energetica comprensoriale e, più in generale, a razionalizzarne l'approvvigionamento e gestione dell'energia;
    • la disponibilità di terreno destinato o destinabile nel breve termine alla produzione di colture oleaginose.

    In termini generali, ciò che interessa è la produzione di energia elettrica con biocombustibili di produzione propria. Ciò al fine di sviluppare attività integrative interessanti anche per il fatto che si svolgono prevalentemente in periodi nei quali l’attività di campo è ridotta (stagioni fredde) e che quindi si prestano per l’ottimizzazione dell’uso delle risorse aziendali.
    Osservazioni tecniche:
    L'elevata viscosità dell'olio vegetale è sicuramente un problema importante poiché causa una combustione incompleta dovuta all'incapacità degli iniettori ad atomizzare l'olio grezzo. Le caratteristiche del motore non sono quindi costanti e nel lungo periodo i componenti più utilizzati sono gli iniettori, le valvole e le fasce elastiche. Si formano normalmente depositi di carbone nella camera di combustione e l'olio lubrificante si contamina facilmente.
    L’olio vegetale grezzo può essere utilizzato nei motori, sia puro che in miscela con gasolio, ma obbliga ad eseguire alcune modifiche meccaniche e tecniche. Esistono alcuni motori concepiti per funzionare ad olio, ma sono di difficile reperimento sul mercato, quindi allo stato attuale è conveniente:

    • utilizzare l'iniezione indiretta e iniettori autopulenti;
    • prevedere un sistema di preriscaldamento del combustibile per non ostruire i filtri (attorno ai 60 °C);
    • favorire l'accensione del motore con gasolio in ambienti freddi;
    • aumentare il flusso di carburante per mantenere potenza e coppia simili a quelle dell'alimentazione a gasolio;
    • utilizzare olio lubrificante con alto potere detergente;
    • evitare frequenti accensioni e spegnimenti che potrebbero causare problemi dovuti alla particolare curva di distillazione dell'olio.

    L’uso di olio vegetale grezzo è d’altra parte giustificato ed incoraggiato dalle seguenti osservazioni:

        • l’olio grezzo è producibile in azienda partendo da semi di oleaginose e utilizzando dei semplici estrattori meccanici. Contemporaneamente il co–prodotto ottenibile (panello proteico) è impiegabile direttamente come mangime nell’allevamento zootecnico;
        •  l’olio grezzo è idoneo per motori diesel modificati che non richiedono personale specializzato per le operazioni di manutenzione. L’olio grezzo deve provenire da colture alto-oleiche realizzate in un ambito territoriale definito e specifico.

 

L’impianto dovrà essere installato in un luogo selezionato in base a parametri ambientali tecnici ed economici e adatto alla possibilità di cogenerazione, in quanto uno dei principali “sottoprodotti” della produzione di energia elettrica è il calore.

 

Esempio di filiera studiata in ambito PROBIO
(Regione Marche- Dott.sa Vanessa Scrosta)
La filiera girasole-energia elettrica, individuata nell’ambito del Progetto Interregionale “Filiere biocombustibili dal girasole” (Programma Nazionale Biocombustibili PROBIO- Regione Marche), è una filiera che si può completare all’interno dell’azienda agricola, e rientra quindi tra le “filiere corte”.
Il Progetto Interregionale ha permesso di realizzare sperimentalmente la filiera girasole-energia elettrica: i semi di girasole, della varietà alto-oleico, raccolti in aziende della zona sono stati spremuti utilizzando una pressa della capacità operativa di 200 kg di semi/h (figura 3.1) con rese di olio e di panello rispettivamente del 35% e del 65%.
Fig. 3.1.1 - Pressa per la spremitura del seme

 

L’olio grezzo è stato impiegato in un gruppo elettrogeno (figura C.1.10) della potenza elettrica di 350 kW che ha un consumo di circa 100 litri di olio l’ora.

 

 

Fig. 3.1.2 - Gruppo Elettrogeno da 350 kW

I dati rilevati dal monitoraggio della filiera sperimentale hanno permesso, considerando due casi limite (produzione minima per autoconsumo e produzione massima per cessione di energia alla rete), di fornire delle indicazioni per il dimensionamento della filiera energetica.

Fig. 3.1.3 - Schema della filiera girasole-energia nell’ipotesi di autoconsumo

 

Nel caso dell’autoconsumo (figura 3.1.3) per alimentare un motore da 5 kW  e produrre 23 MWh occorrono circa 10 ha di girasole considerando una resa produttiva di 2 t/ha.


Fig. 3.1.4 - Schema della filiera girasole-energia nell’ipotesi di cessione di energia elettrica alla rete GRTN

 


Nel caso di produzione di energia elettrica da immettere in rete (figura 3.1.4), l’investimento territoriale è decisamente superiore (circa 1000 ha) e permette di ottenere 2,5 GWhe. In una realtà come quella marchigiana dove l’estensione media aziendale è bassa per la realizzazione e l’economicità della filiera è necessario che le aziende stesse si riuniscono in forme cooperative e prendano in considerazione un’unità di spremitura con una capacità operativa superiore ai 200 kg di seme/h.

I dati ottenuti sono stati inoltre impiegati in un’analisi energetico-ambientale della filiera girasole-energia che ha evidenziato dei risultati i quali messi a confronto con quelli derivanti dalle filiere tradizionali (energia termoelettrica) sono decisamente positivi:

  • per produrre 1 kWh di energia elettrica da semi di girasole sono stati utilizzati 0,51 kWh di energia primaria (partendo dai combustibili fossili quali gli idrocarburi, per produrre 1 kWhe servono 2,5 kWh di energia primaria)
  • producendo 1 kWh di energia elettrica da semi di girasole si evirta l’emissione in atmosfera di 0,5 kg di CO2 rispetto alla stessa produzione con idrocarburi.

Dal punto di vista economico, l’aspetto “critico” che dovrebbe essere riconsiderato sono i costi di produzione del seme, infatti aggregando le voci di spesa derivate da un’analisi economica della filiera, si è rilevato che il 65% dei costi è attribuibile a spese dirette di campo quali materie prime, macchine e manodopera. direttamente legati alle tecniche colturali utilizzate. Per riuscire ad ottenere un reddito soddisfacente per gli agricoltori si dovrà procedere ad una notevole semplificazione colturale e ad una riduzione dei mezzi tecnici, evitando nel contempo di penalizzare le produzioni di girasole e le rese delle colture successive in rotazione. Inoltre dall’esperienza condotta si è evidenziato che il settore agricolo deve farsi carico, quanto meno, anche di una prima trasformazione del seme così da integrare il reddito agricolo con entrate provenienti dalla vendita dell’olio e quindi del panello piuttosto che del seme.

Per proporre delle possibili soluzioni, nel luglio 2005, la Regione Marche (Assessorato all’agricoltura, all’ambiente e all’energia), le Associazioni di categoria degli agricoltori e degli artigiani nel luglio scorso hanno firmato un’intesa per la “promozione della produzione e dell’impiego della biomassa agricola e forestale a fini energetici” che dovrebbe essere un punto di partenza per avviare degli accordi interprofessionali tra tutti i soggetti della filiera (agricoltori, trasformatoti e utilizzatori) così da arrivare ad una soddisfazione di tutte le parti in causa.

3.2  Produzione di energia termica

E’ la filiera più antica e tuttora la più diffusa, nell’utilizzo delle biomasse per energia è esclusivamente legata ai biocombustibili solidi (legna da ardere, residui di potatura, cippato di legno, pellet).
L’uso dei biocombustibili gassosi (biogas) e dei biocombustibili liquidi (oli vegetali) sarà in futuro quantitativamente marginale per quello che riguarda la produzione di energia termica: biogas e oli vegetali sono oggi infatti più vocati (per la loro “molteplicità” di opzioni energetiche) ad uno sviluppo nel settore della generazione combinata di energia  (cogenerazione) e nel settore della energia meccanica (autotrazione).
Si può semplificare il concetto dicendo che il “valore aggiunto” acquisito nei processi per convertire la biomassa originale in biogas o in olio vegetale li qualifica per impieghi più nobili, quali la produzione di energia elettrica e/o meccanica, suggerendo di non “bruciare” tale valore aggiunto  per la sola produzione di calore.
Per questo  motivo non verranno qui trattate le filiere di produzione di energia termica da biogas e oli vegetali.

 

A)  Energia Termica da Biocombustibili Solidi

 

Tipologia di impianto

Un impianto di produzione di energia termica a biocombustibili solidi si compone di un solo principale componente:

  • Caldaia per la produzione di acqua calda .

 

Altri componenti che costituiscono l’impianto sono:

  • Contenitore o apposito locale (silo)  per lo stoccaggio del combustibile;
  • Sistema di estrazione del combustibile dal silo;
  • Complesso di trasporto e alimentazione del combustibile alla caldaia;
  • Impianto di depurazione dei fumi, con eventuale connesso recupero di calore;
  • Camino
  • Impianto di estrazione delle ceneri (opzionale, presente solo nei medi-grandi impianti);
  • Quadro elettrico di comando e accessori.
  • Sistemi di sicurezza ed eventuale accumulatore inerziale e bollitore per acqua sanitaria;
  • Circuito di distribuzione del fluido termovettore (acqua calda) costituito da tubazioni coibentate e da adeguate pompe di circolazione

Il generatore di calore (caldaia), in base alle dimensioni di impianto, può essere del tipo:

  • a fiamma inversa (legna a ciocchi)
  • a cippato (legna triturata in scaglie)
  • a pellet (legna triturata, macinata e trafilata in piccoli cilindretti compatti)

Nelle figure che seguono  si riportano gli schemi delle caldaie menzionate.
Fig. 3.2.1 - Esempio di caldaia a fiamma inversa (uso domestico individuale)

Fig. 3.2.2. - Esempio di caldaia a cippato (uso uso domestico individuale, teleriscaldamento e/o medio/grandi utenti termici):

 

 

 

Fig. 3.2.3 - Esempio di caldaia a pellet (uso domestico individuale:

 

Nonostante la “preistorica” diffusione ed il continuo attuale sviluppo di apparecchiature termiche a legna e pellets, è oggi di fondamentale importanza insistere sul tema dell’efficienza di tali apparecchiature e della relativa “filiera”.
La biomassa legnosa  è una risorsa energetica che, non essendo illimitata, deve essere utilizzata al meglio; inoltre si è visto che il suo costo è in qualche modo legato anche al prezzo delle fonti fossili.
Un suo utilizzo “economico” richiede pertanto applicazioni basate sulla massima efficienza di “filiera”, a partire dalle fasi di coltivazione, raccolta e trasporto della biomassa per finire alle fasi di uso finale (rendimento degli impianti, gestione delle utenze).
PROGETTAZIONE DI UN IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
In sede di progetto il dimensionamento della caldaia è l’aspetto più delicato perché le caldaie a biomassa hanno dei costi di investimento, proporzionali alla potenza installata, molto più alti di quello delle caldaie tradizionali a combustibili fossili. D’altro canto una caldaia sottodimensionata rispetto alle reali esigenze non è sufficiente a soddisfare le richieste dell’utenza in particolare nei picchi di massima necesità.
La prima operazione da affrontare in sede progettuale è quindi una approfondita analisi dell’utenza, sia in termini di fabbisogno energetico effettivo sia in termini di distribuzione temporale di detto fabbisogno.
Le condizioni climatiche dell’utenza devono costituire la base di partenza di ogni progetto. Sono sintetizzabili come segue:

Dati  climatici
  • Quota media (s.l.m.) -5
  • Temperatura minima invernale  (20 percentile)
  • Zona  climatica e relative prescrizioni D.P.R 412:

-numero gradigiorno
-periodo di riscaldamento (max. numero giorni)
-max h/g ammesse   

La temperatura interna normalmente prevista per utenze pubbliche e private è pari a  20°C. Da ciò consegue che la differenza  tra temperatura interna e temperatura esterna (Delta T) è pari a:

  • Delta T medio nell’arco della stagione invernale per determinare i consumi.          
  • Delta T massimo nel 20 percentile dei giorni più freddi per determinare la potenza di caldaia                       
La  definizione  delle utenze

I principali aspetti da valutare ai fini della progettazione di un impianto di riscaldamento sono relativi ad una corretta definizione delle utenze:

  • quali utenze è possibile / necessario riscaldare?
  • qual è il volume delle utenze  da riscaldare?
  • qual è il loro coefficiente di dispersione?

Definizione del coefficiente di dispersione termica: per ogni edificio deve essere valutato il massimo coefficiente di dispersione termica ammissibile (DM 27/07/2005) in base alla zona climatica di appartenenza (DPR412) ed alle  caratteristiche morfologiche (rapporto tra superficie esterna e volume dell'edificio). L'applicazione del coefficiente deve essere ponderata per ogni edificio tenendo conto delle caratteristiche costruttive  (stato attuale, materiali, finestrature, etc.), per giungere così a definire il fabbisogno termico effettivo,  sulla base delle volumetrie di ciascun edificio.

Descrizione e dimensionamento della caldaia

La somma dei fabbisogni effettivi (riscaldamento e acqua calda sanitaria) di tutte le utenze considerate  porta a determinare la potenza lorda della caldaia di centrale, tenendo in dovuto conto i rendimenti di generazione e di distribuzione e la riduzione di potenza globale per la non contemporaneità di tutte le utenze.

La localizzazione della centrale dovrà minimizzare il percorso medio del calore indirizzato alle utenze attraverso la rete di tubazioni, e quindi la sua posizione dovrebbe essere il più possibile baricentrica rispetto al bacino d'utenza, senza comunque comportare problemi di impatto ambientale dovuti a traffico, rumore ed emissioni.
La rete di distribuzione è la parte in genere più costosa dell'impianto di teleriscaldamento:è costituita da un circuito principale  di tubazioni coibentate dal quale si diramano i collegamenti con le varie utenze

La rete di distribuzione nel caso di teleriscaldamento

Avendo individuato in prima approssimazione l’utenza, la sua localizzazione e la potenza da installare, occorre valutare se la lunghezza della rete è in un rapporto ragionevole con la potenza della caldaia. La rete non deve essere “troppo lunga” rispetto alla potenza e all’energia erogata, perché ciò sarebbe sconveniente dal punto di vista economico (dispersioni termiche). Si può utilizzare il criterio secondo cui deve esservi almeno 1 kW di potenza d’allacciamento per metro lineare di condotta termica principale di mandata/ritorno (lunghezza del canale).

La rete di distribuzione è la parte in genere più costosa dell'impianto di teleriscaldamento ed è costituita da un circuito principale di tubazioni coibentate di andata e ritorno dell’acqua calda, dal quale si diramano i collegamenti con le varie utenze (vedi planimetria di progetto).

Nella figura sotto riportata appare uno schema figurativo di massima della rete:

Le tubazioni sono in acciaio, coibentate con schiuma di poliuretano espanso e protette esternamente con resina termoindurente. Trattandosi di tubazioni interrate occorre proteggere la parte superiore con uno strato di terreno da 40 cm a 60 cm, mentre la parte inferiore deve poggiare su sabbia ben costipata.

 

 

 

 

 

 

 

 

La rete maggiormente affidabile e più favorevole per nuove estensioni, scelta per questo progetto, è quella "ad anello", costituita da un circuito chiuso (sia sul percorso di andata che su quello di ritorno), con possibilità di alimentazione da entrambi i lati e con una conseguente più omogenea distribuzione della pressione.
 

 

 


La rete di tubazioni è alimentata da una stazione di pompaggio collegata alla caldaia: la pressione di esercizio dipende dai dislivelli e dallo sviluppo della rete e delle sue diramazioni.

Il diametro dei tubi dipende dalla potenza termica trasmessa, dalla differenza di temperatura tra la mandata ed il ritorno e dalla velocità dell’acqua che non deve di norma superare, nella rete principale, i 3 m/s.
 


Mandata acqua 90 C°
Ritorno acqua 65 C°
Delta T 25 C°
Portata 92 m3/h
Diametro medio 5 cm
Diametro max 9 cm

Le utenze sono collegate alla rete attraverso una serie di sottostazioni, situate come se fossero una caldaia centralizzata, all'interno dei diversi edifici, in locali tecnici, senza particolari esigenze di ventilazione o di sicurezza.

Nel caso di piccole utenze contigue, si installa un'unica sottostazione, con una breve rete secondaria di distribuzione alle abitazioni collegate.
Ogni sottostazione è composta da:
scambiatore di calore a piastre
valvole di regolazione
valvole di intercettazione
impianto elettrico
strumentazione di controllo e misura
contacalorie differenziale

Uno schema di sottostazione è il seguente.
 

 

 

 


 Il Centro di Stoccaggio


Il Centro di stoccaggio è fondamentale per garantire l’alimentazione e l’autonomia della caldaia in caso di disfunzioni nei trasporti e nei conferimenti della biomassa dai vari bacini di raccolta alla centrale.

E’ essenzialmente costituito da un vasto piazzale sterrato e compattato, con una parte pavimentata e coperta da una tettoia per proteggere la biomassa prima della sua alimentazione alla caldaia. Dovrà essere recintato e predisposto con adeguati mezzi antincendio. Deve essere in genere dotato di un piccolo ufficio con pesa esterna.

Il Centro dovrà essere localizzato in una posizione ottimale rispetto sia alla logistica dei conferimenti della biomassa sia al sistema di alimentazione della caldaia. In genere è necessario prevedere un’area fuori dai centri abitati, attrezzata con un sistema basato su containers scarrabili da 20 m3, che saranno caricati nel Centro di stoccaggio e posizionati poi in Centrale (vuoto per pieno), prossimi al silo finale ed alla coclea di alimentazione della caldaia. Ciascun container scarrabile è dotato di un sistema di avanzamento della biomassa cippata, in modo che lo scarico nel silo di Centrale avvenga gradualmente e senza emissione di polveri e rumori.

E’ in genere necessario garantire una sufficiente autonomia alla caldaia (90 giorni) , da cui consegue il dimensionamento dell’area da adibire a stoccaggio, valutando che i cumuli di biomassa combustibile non devono superare i 3 metri d’altezza, disposti in modo tale da consentire una facile movimentazione ed una sicura predisposizione antincendio..

Una parte della stessa area sarà coperta da una tettoia, per permettere una migliore essiccazione naturale della biomassa immagazzinata. La tettoia, progettata a carichi di vento e di neve, deve essere dimensionata per conservare al coperto il combustibile per un periodo di 3 settimane prima della sua alimentazione in caldaia

 

 

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